Lo spagnolo Francisco de Orellana percorse il fiume Maranon fino all’Atlantico dal 1539 al 1542.
Affermò di aver combattuto contro una tribù di donne guerriere comparandole alle mitiche amazzoni, da cui il nome dato poi al fiume Rio delle Amazzoni e successivamente all’intero territorio.
Nel solo Bacino del Rio delle Amazzoni ci sono due terzi di tutte le acque dolci della terra.
Nella foresta pluviale c’è una enorme quantità di vita che l’uomo non è ancora riuscito a classificare, e molte specie si estinguono senza che la loro esistenza sia nemmeno conosciuta.
In un territorio grande solo la metà di San Francisco ci sono 205 specie di mammiferi, 545 specie di uccelli, 100 specie di libellule, e 729 specie di farfalle.
In un ettaro di habitat possono esserci oltre 100 differenti specie di alberi.
Le foreste pluviali tropicali forniscono dal 25% al 40% di tutti i prodotti farmaceutici.
Tremila piante hanno proprietà anticancro, e il 70% di queste si trova nelle foreste pluviali.
La più grande estensione di foresta tropicale pluviale si trova in Amazzonia, nel nord-ovest del Sudamerica. E’ il “polmone” del pianeta, la nostra principale fabbrica di ossigeno. Hai idea di quanto è grande? Guarda un po’ questa carta…
All’inizio degli anni ’70, il 99 % della foresta amazzonica era ancora intatto.
Da metà degli anni ’80 il 13,7 % era stravolto: in 30 anni sono stati distrutti più di 55 milioni di ettari di foresta – una regione grande quanto la Francia – per i legnami pregiati.
Il ritmo della distruzione aumenta ogni anno, le multinazionali del legname divengono sempre più efficienti e incontrollabili…
L’ultimo grande polmone della terra
L’Amazzonia è qualcosa di più di un ecosistema, di una grande foresta, di un immenso paese da proteggere: l’Amazzonia è il nostro futuro.
Non più di un quinto delle foreste originarie del pianeta è rimasto intatto. La metà di ciò che resta è minacciata dalle attività minerarie, agricole e soprattutto dall’estrazione commerciale di legname. L’Amazzonia brasiliana è la più grande estensione al mondo di foresta primaria: 370 milioni di ettari, un terzo del totale di tutto il Pianeta. Non basterebbe un’intera biblioteca per descriverne le immense vastità, le meraviglie, i contrasti. Una grande parte del suo patrimonio ancora sconosciuta. Quello che possiamo fare è proteggere l’ultimo grande polmone del pianeta.
Le preziosissime Foreste Tropicali Pluviali sono distrutte da disboscamento, incendi dolosi, inquinamento: in breve, dall’uomo. Le conseguenze più preoccupanti sono:
- L’estinzione di moltissime specie viventi e la perdita di biodiversità, che sconvolgono gli ecosistemi e impoveriscono le possibilità di ricambio del patrimonio genetico di tutti gli altri esseri viventi;
- il riscaldamento della Terra, dovuto all’incremento d’anidride carbonica, che ci porta verso la catastrofe climatica finale, di cui oggi stiamo assistendo ai primi segni.
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- L’allarme di Greenpeace è perentorio: le multinazionali del legname stanno minacciando l’integrità di questa terra meravigliosa. Dopo aver esaurito le foreste del Sudest Asiatico e dell’Africa Centrale, le grandi compagnie asiatiche, nordamericane ed europee si stanno ora spostando sull’Amazzonia brasiliana, attratti dall’incredibile volume di legname presente in Amazzonia, circa 60 miliardi di m3.
Si tratta di compagnie dotate di grande potere economico, alcune delle quali con consolidata fama di abusi sociali e ambientali.
Fino ai primi anni ’70, il 99 % della foresta amazzonica era ancora intatto. Alla metà degli anni ’80 il 13,7 % era compromesso: in appena tre decenni, sono stati distrutti più di 55 milioni di ettari di foresta, l’equivalente di una regione vasta quanto la Francia.
Nel corso degli ultimi decenni la quota amazzonica nella produzione di legname del Brasile è salita dal 14 % all’ 85 %, tanto che solo nel 1997 la regione ha fornito almeno 28 milioni di mq di legname. Fonti ufficiali ammettono che l’80 % di tale produzione è illegale. Ma anche l’estrazione considerata legale è altamente distruttiva: impiega tecnologie inadeguate così che due terzi del legname viene sprecato.
Molto spesso, dopo il taglio degli alberi, la residua foresta è data alle fiamme e sulle sue ceneri vengono seminate piante erbacee a crescita rapida, la cui natura infestante impedisce la crescita di nuovi alberi. Ma anche i pascoli spesso durano poco: in breve tempo il sottilissimo manto fertile della foresta si consuma senza rigenerarsi e, priva della protezione dei rami, l’umidità viene asciugata dal sole lasciando spettrali distese di argilla rossiccia.
Uno scenario che rischia di diventare generalizzato. Fino ad oggi l’estrazione di legname è stata finalizzata prevalentemente al consumo interno brasiliano. Ma il mercato sta mutando. La crisi finanziaria asiatica ha accelerato lo spostamento delle grandi compagnie verso il Brasile e al tempo stesso la svalutazione della moneta brasiliana, il Real, ha reso economicamente competitivo il legname brasiliano sul mercato internazionale, tanto che si prevede un aumento del 20% dell’ esportazione.
In un decennio, 25 compagnie europee, asiatiche e statunitensi si sono insediate in Brasile, arrivando a gestire quasi la metà dell’esportazione di legname. Da sole, otto di queste compagnie possiedono un pezzo di foresta grande quanto il Belgio.
Solo una di esse opera sulla base di certificazione d’impatto ambientale (Forest stewardship Council – FSC) e solo un’altra ne ha fatto richiesta. Su 17 compagnie interpellate, 15 dichiarano di non avere alcun piano definito per ottenere tale certificazione.
Il pericolo di una deforestazione su larga scala rischia di distruggere specie animali e vegetali legate indissolubilmente alle condizioni ambientali e climatiche della foresta e le risorse culturali, medicinali e nutritive da cui dipendono i popoli indigeni e le popolazioni autoctone.
La foresta amazzonica è vitale per il ciclo delle piogge di tutta la regione, in quanto l’acqua è costantemente riciclata attraverso l’evaporazione e la pioggia. Il disboscamento ha già causato sensibili mutazioni nel microclima e esiste la possibilità che un suo aumento acceleri i mutamenti climatici su larga scala e il fenomeno del riscaldamento globale.
La foresta amazzonica è un tutt’uno con i popoli che la abitano. È grande e ospitale e, se non viene aggredita, permette una vita dignitosa a tutti i suoi abitanti. Per questo la difesa dell’Amazzonia è indissolubilmente legata ai grandi problemi sociali del Brasile, dalla riforma agraria, ai diritti delle nazioni indigene, a quelli delle comunità locali.
Greenpeace sta lavorando insieme alle comunità locali e ai piccoli raccoglitori di gomma naturale (i seringueiros) per preservare la foresta e proporre alternative alla sua distruzione.
Non esiste una soluzione unica, ma un insieme di strade da percorrere coinvolgendo più attori, nello sviluppo di attività compatibili, quali la raccolta di gomma naturale, di frutta selvatica e noci, di fibre, di miele, di piante medicinali. Potrebbe anche essere avviato uno sfruttamento eco-compatibile del turismo e delle risorse ittiche e forestali.
Per questo è necessaria la creazione di una fitta rete di parchi naturali, a cui affiancare riserve esclusive in cui svolgere attività garantite da un monitoraggio costante degli standard di compatibilità ambientale. Questo potrebbe aprire la strada ad uno sviluppo armonico dell’Amazzonia, assicurando ai venti milioni di persone che la abitano la sussistenza e la continuità di cultura e tradizioni.
Qualche dato sulla foresta amazzonica.
La foresta amazzonica | Solo 1/5 delle foreste primarie sopravvive. 1/3 di esse si trova in Amazzonia. 60% della foresta vergine amazzonica è ancora intatto. |
La foresta più estesa: | La foresta amazzonica copre una superficie più estesa di tutta l’Europa Occidentale: 600 milioni di Kmq. |
La più grande riserva d’acqua: | 1/5 dell’acqua dolce del mondo scorre per i fiumi dell’Amazzonia. Il bacino amazzonico é la maggior riserva di acqua dolce del Pianeta. |
Il fiume più lungo: | Il Rio delle Amazzoni si snoda per 6.868 Km, la distanza tra New York e Berlino. Il punto più profondo del Rio delle Amazzoni raggiunge i 120 metri, sufficiente per affondarvi ben due torri di Pisa, una sull’altra. |
La biodiversità più ricca: | Si incontrano più specie di piante in un ettaro di foresta amazzonica che in tutto il continente europeo. |
Più alberi: | In un unico ettaro si possono trovare oltre 200 specie di alberi e sono state contate oltre 72 specie diverse di formiche su un solo albero. |
Più pesci: | Nei fiumi che attraversano la foresta, nuotano pesci di un numero di specie oltre 30 volte maggiore che in tutti i corsi d’acqua d’Europa messi insieme. |
Più grandi, più piccoli: | La diversità e i contrasti della vita amazzonica sono sensazionali: la victoria-regia è una ninfea il cui diametro arriva ai due metri. La foglia di Poligonacea coccoloba può essere più grande di un uomo (2,5 m di altezza e 1m di larghezza). Il ragno caranguejeira è più grosso di un telefono cellulare, mentre esiste una scimmia dal peso di 130 grammi e della dimensione di uno spazzolino da denti. |
La più misteriosa: | L’immensa quantità di specie animali e vegetali che vivono in Amazzonia è ancora in gran parte sconosciuta. Gli scienziati stimano che solo il 40% degli insetti presenti siano conosciuti. Fino ad oggi sono stati identificati oltre 30.000 tipi di piante, ma si sospetta che altre 20.000 siano ancora da scoprire. Nel corso degli anni ’90, sono state scoperte tre nuove specie di scimmia, due di volatili e decine di specie di anfibi e pesci. |
Un documentario:
Cecilia Veracini
LOSING AMAZONIA
durata: 30′
anno di produzione: 2006
Il disboscamento delle foreste equatoriali è un fenomeno devastante e scarsamente controllabile.
La biologa Cecilia Veracini si è recata più volte in Amazzonia, riportando interviste a vari esperti del luogo, e organizzandole in questo interessante documentario.
HAMBURGER CONNECTION
Non è facile a prima vista collegare gli hamburger venduti nei fast food con la deforestazione dei tropici e l’estinzione di migliaia di specie animali e vegetali. Eppure la cosiddetta “hamburger connection” rappresenta un classico esempio di come un qualunque cittadino occidentale possa comandare a distanza la distruzione dei tropici. Gli Stati Uniti sono famelici divora tori di hamburger e da soli importano il 33% di tutta la carne di manzo del mercato mondiale, per il consumo non vitale di appena 1/20 della popolazione del pianeta. Gran parte della carne “a basso costo” di Panama, Costa Rica Guatemala e altri paesi dell’America centrale e latina passa la frontiera americana per finire tra panini e ketchup. In quei paesi per allevare bestiame si brucia la foresta. Nel 1980 fu stimato che il 72% della deforestazione amazzonica in Brasile era volta ad ottenere pascoli per il bestiame. Analogamente la CEE importa carne dall’America tropicale e dall’Africa. Per USA e CEE i costi monetari sono estremamente bassi ma i costi energetici ambientali e sociali su scala mondiale sono immensi e il disastro ecologico è irreparabile. Per produrre la carne di un hamburger in un’area tropicale umida è necessario uno spazio pari a un salotto medio di circa 12 mq. In quell’area distrutta per produrre circa 100 grammi di carne macinata erano mediamente ospitati oltre cinquecento chili di materia vivente, piante, fiori, farfalle, uccelli, scimmie. Uno spreco energetico immenso per riparare al quale sono necessari tempi lunghissimi. Si calcola che una foresta tropicale primaria si possa ricostruire in un periodo variabile da seicento a mille anni In questo senso molto può fare il consumatore occidentale, astenendosi o limitando il consumo di carne importata da questi Paesi e molto più potrebbero i governi occidentali varando norme e politiche economiche più rispettose della natura tropicale.
Fonti:
http://italy.peacelink.org/ecologia/articles/art_4246.html
Cosa possiamo fare per fermare la distruzione delle ultime grandi foreste del pianeta?
Consumatori e imprese possono fare molto. Hanno il diritto e il dovere di richiedere legno e prodotti a base di legno che non provengano dalla distruzione delle foreste naturali. Riciclare, evitare l’uso di legno o derivati per prodotti usa e getta, chiedere la certificazione FSC.
Il valore aggiunto della foresta. Il valore economico delle foreste è molto più alto del legno che contengono: prodotti come gomma, fibre vegetali, noci, frutta, fiori, miele e erbe medicinali sono solo alcuni esempi di prodotti forestali non legnosi.
Il sito italiano dell’FSC http://www.fsc-italia.it/
Ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire. Io, per esempio, partecipo al progetto di Greenpeace “Scrittori per le forste“, con il quale mi impegno a pubblicare solo su carta riciclata o certificata FSC.
La Provincia di Modena ospita un progetto molto importante della GEV che si muove nella duplice direzione di tutelare la foresta e di salvare le popolazioni indios che vi abitano, nella consapevolezza del profondo legame che li unisce. Ecco come pensano di agire:
Vuoi saperne di più? Clicca su http://www.gevmodena.it/mioweb/foresta.html.
Sul sito http://www.therainforestsite.com/index.html contribuisci a salvare la Foresta Tropicale Pluviale!
Al centro della pagina vedrai un bottone rettangolare di colore verde: cliccaci su, e per la pubblicità che vedrai gli sponsor verseranno una piccola somma al programma mondiale “Adopt an Acre” per l’adozione di un pezzetto di Foresta Tropicale Pluviale. Ogni click vale circa 20 piedi quadrati, a seconda di quanti sponsor ci sono. Non puoi cliccare più di una volta al giorno (se lo fai tutti i tuoi click di quel giorno saranno annullati). Così, grazie a Internet, dal suo inizio nel Maggio del 2000 il programma “Adopt an Acre” ha già salvato 550,000 piedi quadrati di foreste: nel solo anno 2000 sono stati salvati 1096 ettari.
Clicca ora. Non ti costa nulla e occorrono solo pochi secondi.
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