Il film che ha forse acceso in me la scintilla che mi avrebbe poi portato a concepire la cornice in cui si svolge Acqua tagliente è un horror di serie B, dal titolo Le ali della notte (1979) di Arthur Hiller.
Cominciai a fantasticare sull’ambientare una storia nel moderno deserto dell’Arizona (USA) nel 1979, quando lo vidi al cinema (lo “strillo” di lancio diceva qualcosa come: “Ha battuto il record d’incasso di Guerre Stellari!” Ah, i tempi innocenti del cinema che fu! :-)).
La pellicola apparteneva a uno dei filoni più in voga negli Anni ’70: l’“animal attack” (Bug – Insetto di fuoco; Swarm – lo sciame che uccide; I carnivori venuti dalla savana; Piraña ecc. Cliccate QUI per un nutrito elenco).
Allora non mi disse più di tanto (anche se lo trovo ancora oggi migliore di film sui pipistrelli vampiri più recenti, come Bats), ma la suggestione dei rituali degli indiani hopi continuò a lavorare dentro di me, spingendomi ad approfondire, a cercare di saperne di più… per finire poi con l’immergermi in essi, insieme ai miei personaggi.
Rispetto al lungometraggio, il romanzo pubblicato in Italia ha un titolo leggermente diverso: L’ala della notte. Vi consiglio entrambi. Il libro del grande Martin Cruz Smith è meglio, ma il film vi aiuterà a visualizzare volti e luoghi in cui si ambienta l’avventura dei WebTV BoyZ.
Per quanto mi riguarda, mi ha fatto capire quanto in una storia conti l’ambientazione (alla fine fu quella a colpirmi, più dei pipistrelli). Nei miei romanzi, la considero allo stesso livello d’importanza dei protagonisti. In questo senso, una delle più efficaci lezioni cinematofrafiche ci è stata data da La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock.
Sotto potete vedere il trailer originale di Le ali della notte.
Nel 1975, quando Lo squalo di Steven Spielberg uscì al cinema, e nulla fu più come prima.
Avevo dieci anni e mi cambiò profondamente. Innanzitutto, diventai un autentico esperto: iniziai a perseguitare la mia maestra con ricerche su ogni sorta di squalo. Inoltre, capii per la prima volta cosa mancasse nella maggior parte dei film di mostri (perché lo squalo non è visto come il pesce che è nella realtà, ma come una figura simbolica, l’incarnazione in zanne e pinne di tutto quanto è spaventoso). A mio parere, in una buona storia la cosa più importante sono l’umanità e la simpatia dei personaggi nelle piccole azioni quotidiane: nella pellicola di Spielberg, non sono mai banali; anzi, sono sorprendenti quanto le scene con il mostro stesso. E sono proprio quei momenti che i produttori e i registi dozzinali trovano inutili, perché ritengono che, in un film di mostri, il pubblico sia principalmente interessato a vedere… i mostri (sangue, azione, effetti speciali ecc. ecc.). Ciò è vero solo in parte: se noi spettatori non ci affezioneremo ai personaggi, il film non riuscirà mai davvero ad appassionarci, non si riserverà uno spazietto nella nostra anima. Ma i personaggi riescono a farci affezionare solo se ci accolgono nella loro quotidianità e nelle dinamiche familiari, con scene toccanti e, come scrivevo, non banali (sebbene per questo ci vogliano grandi attori e/o registi, che sappiano rendere credibili anche i bambini). Per fare un esempio, riporto sotto la scena della cena in famiglia: qui il povero sceriffo (magistralmente interpretato da Roy Scheider) è pensieroso e abbattuto a causa delle prime aggressioni da parte dello squalo; il figlioletto se ne accorge e prova comunque a guadagnarsi un pizzico di attenzione da parte del papà. Potete stare certi che, nei vari séguiti del film (girati da altri registi), scene così non ne troverete. [alzate l’audio al massimo, perché il sonoro è molto basso]
Completava il tutto una buona dose d’umorismo, sapientemente calibrata, ma che non andava a intaccare la tensione delle sequenze più coinvolgenti. Esemplare, in questo senso, la celebre scena del “monologo di Quint”, altamente drammatica e di grande impatto, che tuttavia viene introdotta da un’altra scena, dai toni della commedia, dove i personaggi fanno a gara a chi ha le cicatrici più grandi (e notate l’imbarazzo dello sceriffo, interpretato da Roy Scheider, che si rende conto di non averne nessuna che possa competere!). Narra la leggenda, che il monologo sia stato proposto dallo stesso straordinario attore Robert Shaw. Pare che Spielberg volesse alternarlo con inquadrature degli altri personaggi, ma, impressionato dall’intensità di Shaw, non si sia più azzardato a interromperlo.
Insomma, scene come queste, negli altri lungometraggi sugli squali non ci sono, ed ecco perché, a mio parere, non sono altrettanto memorabili. Attribuisco la responsabilità ad avidi produttori cinematografici, in cerca di facili guadagni. Pensare che, per realizzare prodotti migliori, sarebbe bastato loro confrontare la pellicola di Spielberg con il mediocre romanzo di Robert Sheckley, da cui il film è tratto: tutto ciò che rende grande la pellicola, nel libro manca! Ma si dice che i produttori non leggano… sarà vero? 😉
Godetevi il trailer.
Il problema di un appassionato di film di mostri come il sottoscritto è che, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di prodotti mediocri.
Credo che ciò dipenda soprattutto dal fatto che – come ho già accennato a proposito de Lo squalo – in una buona storia l’elemento più importante non è tanto la trama, né l’originalità o (ancora peggio!) gli effetti speciali, ma l’efficacia dei personaggi.
Come possiamo appassionarci davvero a una storia se i personaggi non ci trasmettono delle emozioni e sembrano fatti con lo stampino?
Con Tremors, invece… Aaah, che soddisfazione! L’idea di base è geniale (i mostri sfrecciano nel sottosuolo del deserto dell’Arizona, come faceva lo Squalo del film nell’acqua del mare), il ritmo è sostenuto e frizzante, ma soprattutto i personaggi sono davvero simpatici, grazie anche all’interpretazione dei due attori protagonisti: Kevin Bacon e Fred Ward.
I séguiti (a tutt’oggi se ne contano 5!) non mi hanno detto granché, proprio perché i nuovi personaggi non hanno più avuto la dovuta attenzione da parte dei registi successivi, ma il primo non mi stancherò mai di rivederlo.
Ecco il trailer!
PHANTOMS! (1973) e LA NEBBIA (1985)
Trovare un buon “romanzo di mostri” pubblicato in italiano è piuttosto difficile. Intendiamoci, con “libro di mostri” non voglio intendere vampiri o dinosauri, ma quelle avventure con insetti assassini, ragni mutanti, vermi carnivori ecc…
Se poi ne cerchiamo di buona qualità, allora l’impresa è quasi disperata. Non è il caso di Phantoms! di Dean Koontz e della novella “La nebbia” presente nella raccolta di racconti Scheletri di Stephen King (a destra vedete una suggestiva immagine del film che ne è stato tratto). Leggere per credere: vi riconcilieranno con le storie di mostri.
FASE IV: DISTRUZIONE TERRA (1973)
È vero, mi piacciono i film di mostri, ma non per questo mi rassegno alla superficialità. Anche questo film lo vidi quando uscì. Ero un ragazzo e lo trovai stranissimo e, per molti versi, difficile… Però geniale, specialmente dal punto di vista visivo (del resto, si tratta dell’unica pellicola firmata da Saul Bass, lo straordinario autore delle visionarie sigle di molte pellicole del maestro del brivido Alfred Hitchcock).
La trama si potrebbe riassumere in una sfida d’intelligenza, nel deserto dell’Arizona, fra le formiche (di normalissime dimensioni e non gigantesche come nel manifesto), che sembrano avere improvvisamente sviluppato un’intelligenza superiore, e due scienziati incaricati di studiarle, arroccati in una base iperaccessorriata, collocata accanto a uno dei loro suggestivi formicai.
Come assistere a una partita a scacchi. Ho letto anche il romanzo, che però, a mio parere, è meno riuscito.
Ecco il trailer:
Così arriviamo alla convergenza tra scienza e spiritualità, tema portante di Acqua tagliente.
Nei “film di mostri”, generalmente i protagonisti si trovano ad affrontare creature nelle quali non siamo in grado di riconoscere alcun tipo di sentimento, il che ci induce a non immedesimarci e a confrontarci con le loro ragioni. Molto comodo, quando si vuole realizzare “semplicemente” prodotti avvincenti, dove l’uomo spesso si batte contro una metafora delle avversità e delle calamità naturali o con il male in senso lato. Come spettatore o lettore, un prodotto di questo tipo mi va benissimo per un puro intrattenimento (che può essere anche di livello molto alto, come nel caso del romanzo Dracula di Bram Stoker o del film Lo squalo di Steven Spielberg). Tuttavia, nel XXI secolo è ormai evidente che le grandi calamità naturali siano, per lo più, conseguenza dei cambiamenti climatici. Pertanto, se l’autore della storia sono io, non posso fare a meno di richiamare i miei personaggi alle proprie responsabilità di esseri umani. Acqua tagliente è ricco di scene d’azione, che ho cercato di rendere le più spettacolari possibili, ma i WebTV BoyZ scopriranno che l’umanità non può ritenersi innocente, riguardo alla natura dei feroci mostri acquatici che infestano il parco di New Atlantis: ciò li porterà a interrogarsi sulle scelte etiche circa lo sfruttamento di animali in nome della scienza e del progresso.
Uno dei registi che nelle sue opere ha più volte dimostrato un approccio spirituale antispecista, è il regista giapponese Hayao Miyazaki, spesso un mio faro di riferimento.
Al suo personaggio della giovane intrepida, forte e fragile Nausicaä ho ispirato il mio personaggio di Pumpkin, la ragazza in grado di percepire le energie provenienti dal mondo vegetale (come abbiamo visto anche nel primo romanzo dove appare, L’enigma di Gaia).
Per approfondire, vi consiglio l’interessante articolo Nausicaä della Valle del vento, il manga ecologista di Miyazaki di Emanuele Bianchi.
Anziché il trailer ufficiale del film, ho preferito mostrarvi un bel video realizzato dalla fan Lucy Pendragon, che lascia ben trasparire la profonda spiritualità insita nel personaggio.
Quando vidi questo film ne fui travolto. Fino ad allora, era già accaduto che nel cinema di fantascienza si sfiorassero argomenti di una certa profondità, ma, nella maggior parte dei casi, i registi (o i produttori) preferivano non addentrarsi più di tanto, soprattutto quando si trattava di argomenti “spinosi” come la religione.
Ken Russel ci si tuffa senza timore, realizzando una delle rare pellicole (nell’ambito del cinema spettacolare e d’intrattenimento) in cui si approfondiscono le implicazioni filosofiche, scientifiche e spirituali della storia.
Lo spettatore potrà poi approfondire da sé. In pratica, l’opposto di quanto solitamente ci offrono i film di “effetti speciali”… senza però rinunciare all’azione e alla spettacolarità. E gli spettatori l’hanno premiato, tributandogli un grande successo commerciale.
I protagonisti non sono i classici scienziati prestanti e dalla mascella squadrata appena rasata, ma professori universitari che fanno discorsi da professori universitari, senza curarsi troppo se siano o meno accessibili al pubblico, come vediamo nella clip sotto: i personaggi si stanno divertendo a una festa… ma sono pur sempre geniali scienziati! 😉
Si tratta anche di un’opera che ha avuto un enorme influsso sull’immaginario collettivo, specialmente perché ha presentato per la prima volta al grande pubblico le suggestive “camere di deprivazione sensoriale” (già, come quella che in Acqua tagliente usa Anton Glass per rilassarsi).
Trovo questo film di Robert Zemeckis (il regista di Ritorno al futuro) appassionante. La scena dell’arrivo del messaggio alieno (vedi il filmato sotto) e di come, in seguito, verrà decifrato, vale già una visione; ma soprattutto trovai stimolante il modo in cui viene affrontato il dilemma della convergenza fra scienza e spiritualità.
Qui si fa in particolare riferimento alla fede cattolica, ma vi si può leggere un discorso sulla spiritualità in senso lato.
Più di trent’anni fa, nasceva una serie a fumetti che, per gli appassionati di fantastico e archeologia misteriosa come me, fu una vera manna: Martin Mystère di Alfredo Castelli (Sergio Bonelli Editore).
Molto prima di romanzi come il Codice Da Vinci, e in maniera non meno documentata, indagava sugli enigmi che si annidano nelle culture antiche o in certe opere d’arte, e azzardava suggestive ipotesi, come quelle sulla scomparsa della civiltà di Atlantide o sul Mostro del lago di Loch Ness.
Nella sezione in allestimento Consigli/Fumetti di questo sito mi dilungherò maggiormente, ma qui mi limito a riconoscere che senza Martin Mystère probabilmente Acqua tagliente non sarebbe mai esistito.
RODOLFO CIMINO e ROMANO SCARPA
Considero Romano Scarpa uno dei miei maestri. Credo di essere diventato scrittore anche per realizzare storie appassionanti e commoventi come le sue di Topolino e di Zio Paperone degli anni ’50/primissimi ’60.
Le avventure di Paperone che mi hanno ispirato per Acqua tagliente, però, sono solo disegnate da Scarpa (e inchiostrate dal grande Giorgio Cavazzano), ma sono state scritte da un altro immenso sceneggiatore: Rodolfo Cimino.
Il senso di meraviglia che mi animava mentre descrivevo l’organo di pietra nella caverna del primo capitolo è senz’altro debitore a quell’incomparabile atmosfera che si respira in certe sue storie, come “Zio Paperone e le montagne trasparenti” (1971, di cui a destra ho riportato una tavola) o “Zio Paperone e la montagna parlante” (1969).