“Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni.
Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.”
L’incubo di Hill House di Shirley Jackson
Abitualmente, ai miei corsi di scrittura sconsiglio di iniziare un libro con una descrizione. Non sono emotive e l’autore rischia di non catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime righe. “Introducete subito i personaggi”, raccomando, “è grazie a loro se riusciamo a entrare nella vicenda.” Esistono eccezioni, come quella che avete appena letto. Nel suo saggio Danse Macabre Stephen King scrive: “Credo ci siano pochi, forse nessuno, brani descrittivi così eleganti nel linguaggio inglese; è il tipo di quieta epifania che ogni scrittore spera di ottenere: parole che trascendono le parole, parole che costituiscono un totale ben superiore alla somma delle parti.”
Perché questo incipit funziona? Semplice: perché l’insana Hill House è un personaggio. Questo infatti è il consiglio che do subito dopo: “Trattate le vostre ambientazioni come se fossero personaggi. Devono colpire, sorprendere, destare meraviglia. Insomma, avere un’anima. Oppure no...
Quando cominciai a fantasticare sull’ambientazione più importante del mio romanzo, mi venne subito in mente lo straordinario incipit del libro della Jackson. Ed ecco quindi il prologo de La ragazza fantasma:
“Può accadere che nei vecchi edifici deserti risuonino echi.
Scricchiolii, colpi, lamenti, voci… riecheggiano sulle pareti, rimbombano nelle stanze vuote e attraversano gli ambienti, dai sotterranei ai solai.
La Clinica in Fondo al Mare non faceva eccezione.
Edificata sul punto più alto della scogliera, dalle sue finestre lo sguardo abbracciava l’infinito, e i suoi corridoi accoglievano il respiro dell’oceano.
Fra quelle mura molte persone avevano trascorso una lunga parte della loro vita. Avevano gioito, sofferto, strappato pagine ai calendari, lasciato le loro spoglie mortali. Poi la sporgenza su cui l’edificio sorgeva era stata dichiarata a rischio e la clinica abbandonata. Finché una notte di due anni orsono, un violento terremoto squassò la terra in profondità. Parte del promontorio si staccò dalla scogliera, l’edificio sprofondò e l’oceano invase il pianterreno.
Adesso, sotto il livello dell’acqua, nei corridoi allagati, è tornata a fiorire la vita, fra animali acquatici e alghe che ondeggiano nella corrente marina.
Ma nella parte emersa, nelle stanze vuote e per le corsie deserte, continuano a risuonare echi.
E, qualche volta, quegli echi hanno forma.”
Visitare i suoi umidi corridoi mi appassionò a tal punto, che mi venne voglia di tornarci in un racconto breve degli Invisibili, La Dama della scogliera, che può quasi considerarsi un antefatto del romanzo.
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